L’importanza delle fonti orali nell’indagine archivistica: Pietro o Riccardo Gairinger? Un caso risolto
02 Settembre 2022
Leon Battista Alberti affermava «Tiene in sé la pittura forza divina non solo quanto si dice dell’amicizia, quale fa gli uomini assenti essere presenti, ma più i morti dopo molti secoli essere quasi vivi, tale che con molta ammirazione dell’artefice e con molta voluttà si riconoscono» e si possono identificare con i propri avi così come è accaduto al nipote di Riccardo Gairinger, Dario Bartolini (sua madre era Lucia Gairinger, la figlia di Riccardo).
L’architetto fiorentino, ma triestino di nascita, ha riconosciuto suo nonno nell’uomo canuto in vesti eleganti ritratto nell’affresco Il lavoro costruttivo di Carlo Sbisà in galleria Protti a Trieste: un’elegante galleria coperta in vetrocemento (intitolata al capitano Arrigo Protti, medaglia d’oro al valor militare, caduto in combattimento nel 1936 durante la guerra d’Etiopia) che attraversa l’intero isolato del complesso realizzato su progetto di Marcello Picentini tra il 1936 e il 1939 per Generali.
La composizione suggerisce un gruppo di persone al lavoro in un cantiere edile posto all’interno di un paesaggio carsico. In particolare, tre sono i volti “familiari” o quantomeno ben connotati rispetto agli altri figuranti dai tratti stereotipati, che attraggono l’attenzione dello spettatore, in quanto sembrano interagire con il pubblico volgendo a lui lo sguardo. Si riconoscono grazie alle memorie d’archivio e familiari: sullo sfondo a sinistra Gino de Finetti l’autore del mosaico che adorna la galleria, di trequarti, mentre discute con un uomo in giacca e cravatta con un foglio in mano, ovvero Riccardo Gairinger. In primo piano, sempre a sinistra, appoggiato all’impalcatura di legno un giovane che con fare compiaciuto invita il passante ad ammirare la sua opera: forse Carlo Sbisà. Un primo confronto con foto coeve (si osservi l’attaccatura e il taglio dei capelli, l’espressione del viso e la mise da lavoro) che ritraggono l’artista triestino mentre sta realizzando gli affreschi, farebbe propendere per questa ipotesi di attribuzione.
Di Gino de Finetti la nipote Diana Arich de Finetti conserva il bozzetto preparatorio del ritratto dello stesso Sbisà, mentre di Gairinger rimane la memoria del nipote di «essere sempre stata un’abitudine di famiglia andare a trovare il nonno Riccardo in galleria» o che perlomeno «l’uomo ritratto gli somiglia assai, poi dalle poche foto» gli sembra di ricordare che «Pietro (fratello di Riccardo) non aveva la barba».
Infatti, molte fonti, anche autorevoli, confondono Pietro con il fratello Riccardo attribuendogli incarichi di rilievo in Generali e ruoli attivi nella realizzazione di importanti immobili come il complesso di corso Italia (già corso Vittorio Emanuele III) a Trieste, realizzato da Piacentini e impreziosito dagli affreschi di Sbisà e il mosaico raffigurante il leone marciano di de Finetti.
Tra le cause dell’errore c’è probabilmente il fatto, oltre a essere entrambi i fratelli ingegneri, che sicuramente Riccardo Gairinger soleva firmare con il solo cognome preceduto da una sigla che viene interpretata come «[ing.]».
L’indicazione di Pietro Gairinger quale responsabile per Generali della realizzazione del complesso Piacentini e delle relative committenze artistiche è diffusa nella letteratura specifica, ma nasce dall’errata attribuzione a Pietro di una lettera intestata di Generali che è firmata con il solo cognome e che fu invece sicuramente inviata da Riccardo Gairinger (lettera conservata presso l’Archivio Schott-Sbisà).
Ne sono conferma le carte del suo fascicolo personale e i verbali dirigenziali della Compagnia, dove si parla sempre e solo dell’ingegnere Riccardo Gairinger e mai di Pietro, e soprattutto i ricordi della figlia di Bruno de Finetti, Fulvia, la quale si dice certa che la persona in questione fosse Riccardo.
Infatti, la figlia dell’illustre matematico asserisce che «in famiglia si parlava molto di Riccardo, grande amico dello zio Gino de Finetti, e per nulla di Pietro, e se Gino ricevette questo incarico lo doveva certamente all’amicizia con Riccardo». Inoltre, Fulvia de Finetti ricorda che i due avevano anche una proprietà in comune e che Riccardo acquistò successivamente la parte dell’amico.
Quindi, nell’affresco, Riccardo, e non Pietro, Gairinger è ritratto mentre sta parlando con l’amico Gino: caso risolto.